When A Stranger Is Behind You



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Autore Messaggio
LoreSpiars
«Larva»
Messaggi: 12
MessaggioInviato: Mar, 22 Lug 2008 10:52    Oggetto: When A Stranger Is Behind You   

Ciao horrorini...come state? Voglio postarvi il mio ultimo "capolavoro" Laughing Laughing Spero che vi piaccia....Metto anche il sondaggio per sapere se vi è piaciuto oppure no...Voglio la sincerità, anche se la più brutta ok? Poi commentate anche...Ditemi le vostre impressioni ! Bacioni grossi e ricordate sempre : W HORROR Very Happy Very Happy Very Happy




WHEN A STRANGER IS BEHIND YOU

Un killer nella notte

Era una sera di autunno, molto buia. Un vento fresco e impetuoso faceva muovere le foglie secche e le sbatteva contro le finestre delle case. Gli ululati provenienti dal bosco lì vicino rimbombavano per tutta la campagna. I rami degli alberi si muovevano e formavano figure mostruose.
Io e il mio fidanzato, James, abitavamo alla penultima casa, lungo un sentiero.
Ero in cucina a preparare la cena. Un bel piatto di pasta al ragù, una fettina di vitello e una porzione di insalata. James guardava la televisione e nello stesso tempo leggeva il quotidiano.
Spento il gas, la cena era pronta. Seduti a tavola, incominciammo a mangiare e a parlare di come era andata la mattinata al lavoro. Io facevo la cameriera in un albergo lontano dal paese, e James era un pompiere. La mattinata era andata molto bene a me ma a lui era stata molto pesante, soprattutto quando era dovuto entrare in una casa in fiamme per salvare una donna. Insomma, una giornata molto movimentata.
Finito di mangiare, incominciai a fare il lavoro casalingo più noioso: pulire i piatti.
Iniziò a piovere forte e chiesi al mio amore di andare a prendere i panni stesi in veranda. Ecco allora che li incominciai a stirare.
Verso le undici finì di fare tutto e raggiunsi James in camera, che già si era addormentato.
Mi infilai delicatamente nel letto e rimasi a guardare fuori dalla finestra : pioveva ancora.
Un rumore mi distrasse. Forse proveniva dal piano di sotto. Qualcuno era entrato in casa. Ma non ero sicura di questo.
Decisi di andare a controllare. Uscii dalla stanza e mi diressi verso le scale. Accesi subito la luce dell'intero salotto. La porta d’ingresso era chiusa. Le finestre anche. Allora andai a controllare anche la porta sul retro che si trovava in cucina e infatti era socchiusa.
Incominciai ad impaurirmi ed agitarmi perché sul pavimento c’erano anche delle impronte. Portavano fino in cantina, dove c’era la lavatrice. Un’ora prima chiesi a James di andare in veranda a prendere i panni stesi e portarli lì. Forse le impronte erano delle sue scarpe, visto che fuori pioveva. Presi una torcia e mi diressi verso lo scantinato.
Scesi dalle scale molto lentamente, con la luce che si muoveva perchè ero agitatissima. Illuminai tutta la stanza ma non c'era nessuno. Così mi girai indietro per ritornare al piano di sopra. Ma ecco che ad un tratto, in fondo alla cantina comparvero due occhi bianchi come fossero fantasmi. Una voce roca e bassa chiamò il mio nome.
Scappai immediatamente urlando il nome di James.
Arrivai in camera. Lo svegliai di sobbalzo. Per l’agitazione balbettai di chiamare la polizia e che qualcuno era entrato in casa nostra.
James da quel poco che capì si precipitò a prendere il suo cellulare nella camera affianco e in un secondo chiamò il 911.
Tornò in camera e mi disse che era tutto apposto, la polizia stava arrivando.
Lui scese un attimo al piano di sotto a controllare se per davvero ci fosse qualcuno. Scesi anch’io con lui.
In salotto non c’era nessuno o niente che non fosse al suo posto. La porta sul retro era chiusa a chiave, mentre io l’avevo vista semi-aperta.
Le impronte che c’erano per terra erano scomparse, come se qualcuno avesse pulito il pavimento. La cucina era in perfetto ordine. Scendemmo in cantina dove forse era il ladro. Molto strano….Non c’era nessuna traccia di lui. Prima di scendere, la porta della cantina era chiusa anche a chiave.
Arrivò la polizia. Salimmo immediatamente a dirle che era entrato un ladro in casa. Insieme a dei poliziotti controllammo ogni parte della casa. Non fu ritrovato niente di sospetto.
Avevo veramente sognato, oppure era stata un’allucinazione? Lo stress? La stanchezza che avevo accumulato durante la settimana?
Tutto si chiuse e si tornò a dormire, anche se non lo avrei fatto.
Erano le due di notte. Fuori aveva smesso di piovere. Le goccioline d’acqua cadevano dal tetto e facevano un suono che più andava avanti, più mi faceva innervosire.
Mi tormentavo e avevo paura. Se c’era veramente qualcuno in casa nostra, in questo momento, cosa avrei fatto? Ero terrorizzata. Non riuscivo a dormire.
Mi alzai e andai a farmi una doccia. Mi strofinavo la pelle cercando di rilassarmi, ma continuavo a pensare a quegli occhi che avevo visto poche ore prima.
Ad un tratto sentii chiudere la porta del bagno. Vidi attraverso la tenda una sagoma. In mano aveva un qualcosa di appuntito, come un coltello.
Il terrore in quel secondo fu tale che non riuscii a fare un minimo strillo.
Restai immobile soprattutto perché quella sagoma non si muoveva. Affianco a me c’era un porta sapone, con delle lamette e delle forbici. Presi una di quest’ultime con tutta calma ma una mano aprì la tenda e mi diede un colpo alla testa. Scivolai e svenni.
Mi risvegliai legata ad una sedia, con un pezzo di scotch sulla bocca. Davanti a me c’era James, anche lui nella mia stessa situazione.
Provai ad urlare e vedere se si svegliasse ma niente da fare. Mi mossi con la sedia provando anche a sciogliermi ma una mano si posò sulla mia spalla e mi disse di stare ferma.
Un uomo alto, con una maschera grigiastra bucata nella parte degli occhi e addosso una felpa lunga, dei pantaloni stracciati e scarponi da montagna, si mise di fronte a me.
Con un’accetta che aveva in mano mi fece dei graffi sul viso e mi tagliuzzò i capelli.
Desideravo che James si svegliasse e ammazzasse quel figlio di puttana che allo stesso tempo si divertiva anche con lui, dandogli calci sulle gambe e degli schiaffi pesanti.
Speravo fosse un incubo. Non poteva capitare proprio a noi. Mi domandavo il perché, cosa avevamo fatto di sbagliato.
Il pazzo mi tolse con un solo strappo veloce e freddo lo scotch dalla bocca, facendomi uscire anche del sangue dalle labbra.
Lo offendevo e lui mi picchiava. Continuavo e lui mi picchiava sempre di più fino a che non chiesi il perché di tutto questo.
Con voce bisbigliante e cattiva rispose che noi eravamo stati scelti per quest’orribile gioco.
Puntò l’accetta verso James che intanto si era svegliato ed era confuso e spaventato.
Il pazzo incominciò a parlare e strillare a vanvera, neanche lui sapeva cosa stava facendo. Si picchiava e si tagliuzzava le braccia, senza motivo.
Correva per tutta la stanza fino a che, in un angolo della camera, si fermò nel buio e cantò una strana canzoncina.
Guardavo James e con gli occhi comunicavamo la nostra paura e la speranza che fosse soltanto un incubo.
Non si sentì più niente. Il pazzo era scomparso. Nella stanza non c’era niente, solo la luce accesa che illuminava me e James, legati sulle sedie e insanguinati.
Ad un tratto si accese la luce della cucina e comparvero le ombre del killer sul pavimento. Non si capiva cosa stesse facendo.
Quando tornò nel salotto disse che ci avrebbe ammazzato a tutti e due ma che lo avrebbe fatto molto lentamente.
In un batter d’occhio prese la mia mano e tagliò una delle mie dita, l’indice con esattezza. Il dolore che provai fu inimmaginabile.
James piangeva per la disperazione provando anche a slegarsi. Il pazzo strappò anche a lui lo scotch dalla bocca e gli iniettò, con una siringa, un liquido che gli fece perdere i sensi e lo addormentò. Forse lo anestetizzò.
In mano aveva anche un filo sottile ed un ago. Non sapevo cosa gli avrebbe fatto. Subito dopo però lo capì e fu una cosa agghiacciante.
Incominciò a cucire la bocca di James, infilando a colpo freddo l’ago nel labbro superiore e inferiore.
Dopodichè lasciò la stanza, portandosi anche il mio dito.
Per terra, vicino a James, c’era l’accetta insanguinata. Lo chiamai con voce sottile riuscendo a farlo svegliare. Ma non ci riuscivo. Dal suo orecchio sinistro gli usciva anche del sangue.
Con la sedia mi provai a muovere per riuscire a prendere l’accetta ma il pazzo rientrò in stanza e quindi mi diede un colpo alla testa.
Erano le 05:23 del mattino. Mi svegliai di soprassalto perché James incominciò ad urlare.
Il killer gli stava cucendo anche i suoi occhi. Questa volta non era anestetizzato quindi immaginavo il dolore.
Io strillavo a squarcia gola di lasciarlo stare, ma lui continuava senza fermarsi. Mentre faceva quell’orrore cantava e parlava da solo e qualche volta si girava indietro e mi dava due o tre schiaffi.
Dopo 10 minuti tutto era finito. James non vedeva più niente. Le sue palpebre erano completamente massacrate.
Quella scena era straziante. Le lacrime del mio fidanzato erano sangue.
Guardavo fuori dalla finestra il sole che stava quasi per sorgere e non vedevo l’ora che arrivassero le 08:00 perché era Martedì, il giorno che veniva la donna delle pulizie.
Intanto il killer stava tagliando i fili del telefono. James non si muoveva. Avevo il presentimento che fosse morto. Cercai un’altra volta di chiamarlo ma non si svegliava.
Ad un tratto il killer mi domandò se secondo me sarei morta oppure no. Gli risposi che doveva andare all’inferno. Con la sua solita voce lugubre e cattiva rispose che già ci eravamo.
I brividi e la pelle d’oca mi attraversarono tutto il corpo, freddo e bisognoso di cibo e acqua. Ero nauseata dalla situazione, quasi vomitavo.
Finito di isolare tutta la casa, tagliando i fili del telefono, distruggendo i nostri computer e i cellulari, il mostro iniziò a cantare di nuovo.
Si stava avvicinando a me ma con il coltello puntavo verso la parte di James. Non riuscivo a capire le sue intenzioni. Avevo molta paura.
Ecco che un rumore di macchina improvviso fece distrarre il pazzo.
Guardai l’orologio ed erano le 07:46.
Era arrivata Lucy, la donna delle pulizie. La chiamai a gran voce, urlando e dicendole di fare attenzione. Però non mi sentiva. Forse stava chiudendo la sua macchina.
Il killer mi tappò un’altra volta la bocca con dello scotch e si andò a nascondere dietro la porta. Le speranze che qualcuno ci avrebbe salvati stavano scomparendo.
Però notai che Lucy non era entrata in casa. Forse se n’era andata, ma quel figlio di puttana stava aspettando di ucciderla.
Non successe niente, tanto che il killer uscì fuori per andare a controllare.
Né approfittai di avvicinarmi al comodino dove era appoggiata l’accetta. Con la bocca cercavo di prenderla e ci riuscii. Mi inchinai e iniziai a tagliare i fili attorcigliati nella mano sinistra.
Ecco che una voce mi chiamò. Lucy era entrata dalla porta sul retro.
Rimase impressionata e agghiacciata dalla scena. Le feci segno con la testa di slegarmi. Si avvicinò togliendomi lo scotch dalla bocca e mi abbracciò forte, dopodichè tagliò i fili della mia mano sinistra.
Ma in un instante la gola della mia salvatrice venne tagliata con un colpo freddo e preciso. Un onda di sangue mi sporcò tutto il viso.
Il killer trascinò il cadavere al centro della stanza e continuò ad ucciderla, colpendola svariate volte con un coltello.
Piangevo per la disperazione e urlavo sempre più forte. Non poteva continuare una cosa del genere.
Il pazzo, essendo davanti a me ma girato verso James non poteva vedermi e quindi non si era accorto che la mia mano sinistra era slegata. Così né approfittai di slegarmi anche l’altra.
Per terra, vicino a me, c’era l’accetta. La presi e slegai anche le mie gambe.
Ero libera finalmente ma non potevo avvicinarmi a James, che intanto veniva sporcato dal sangue di Lucy.
Di soppiatto mi avvicinai verso la cucina ma il killer mi vide.
Corsi immediatamente alla porta sul retro e scappai, attraverso il campo di grano.
Non mi fermavo, ogni tanto mi giravo indietro perchè stavo lasciando una casa unta di sangue. Il pazzo non lo vedevo. Forse non mi stava seguendo.
Mi dirigevo verso la casa di una famiglia che viveva lì vicino. Pensavo che finalmente era tutto finito ed una volta chiamata la polizia quel porco maniaco fosse ucciso.
Vidi che c’era la macchina e quindi la famiglia era lì.
Arrivata dietro la casa, attraverso la finestra, vidi che i Bekford stavano facendo colazione.
Ma sentii che qualcuno aveva bussato alla loro porta. Andai a vedere per prima chi fosse ma fu troppo tardi per dire che era Satana.
Il killer era già entrato in casa e stava massacrando quella povera innocente famiglia. Alcune finestre furono anche schizzate da sangue.
Decisi di dare uno sguardo. I corpi senza vita della famiglia Bekford erano sdraiati per terra e il pazzo non lo vedevo.
Entrai dalla porta principale con gli occhi chiusi e volevo avvicinarmi al telefono.
Non avevo il coraggio di vedere, soprattutto la loro figlia minore di 10 anni, uccisa a colpi di accetta.
Chiamai a gran velocità il 911 e con la voce secca e impaurita dissi di venire immediatamente qui.
Notai che il killer se n’era andato, non lo vedevo e non sentivo più niente; solo puzza di cadaveri.
Andai al piano di sopra a nascondermi nella camera da letto, chiudendo la porta a chiave.
Erano le 09:35, in dieci minuti la polizia doveva già essere arrivata ma le sirene non le sentivo.
Mi misi sotto il letto ma fui distratta dall’armadio. Vedevo che era semi-aperto. Speravo che non ci fosse niente là dentro ma qualcosa respirava, con affanno. Non provai ad uscire così restai immobile.
Ecco che però un piede uscì da lì. Per fortuna era il piccolo Bekford, Mario, di sette anni. Lo abbracciai e lo strinsi forte.
Mi disse, piangendo, che aveva visto tutto ciò che era successo prima al piano di sotto.
Lo tranquillizzai dicendogli che tra un po’ era tutto finito, la polizia stava arrivando.
Si sentì un botto provenire da fuori la porta. Sbirciai dal buco della serratura e c’era una persona.
Volevo sapere chi era perché pensavo fosse un poliziotto. Quindi aprii di soppiatto ma improvvisamente il killer entrò in camera.
Diede una coltellata a Mario e mi prese per i capelli, trascinandomi con una forza mostruosa verso l’uscita, buttandomi anche giù dalle scale.
Mi muovevo e cercavo di liberarmi ma con poca forza non ce la facevo, così continuai ad essere trascinata dalla casa dei Bekford fino alla mia casa, passando anche attraverso il campo di grano.
Mi risvegliai nel letto di casa mia, legata per l’ennesima volta, con affianco il corpo senza vita di James, squartato e con ancora bocca ed occhi cuciti.
Perché la polizia non era ancora arrivata? Perché nessuno si stava preoccupando visto che il telefono ed i cellulari erano spenti? Dov’erano tutti quanti?
Davanti a me c’era il mostro, seduto su una sedia. Stava cantando e parlava di un fatto che gli successe quand’era piccolo.
Si continuò così per ore, ascoltando quelle orride parole e stupide canzoncine che cantava.
Mi girava la testa. Volevo del cibo e dell’acqua. Dovevo anche andare al bagno.
Gli chiesi se almeno poteva portarmi da mangiare ma lui non ascoltò.
Credevo che sarei morta in questo modo atroce ma sapevo che qualcuno mi avrebbe salvata…
Un bicchiere cadde al piano di sotto. Il pazzo si alzò e scese immediatamente.
Pregavo che qualcuno sarebbe venuto ad aiutarmi.
Dei passi si stavano avvicinando alla camera, infatti entrò un poliziotto e mi slegò. Lo ringraziai a bassa voce e continuai a ripetere che fosse un miracolo.
Scesi dalle scale ed uscii da quella casa. Il poliziotto mi mise dentro la sua macchina ma tornò dentro.
Ero muta, non parlavo. Pensavo solo a James e cosa avrei fatto d’ora in poi.
Stavano passando già due minuti e il poliziotto non tornava.
Allora decisi di uscire e di vedere cosa stesse facendo. Mi avvicinai alla porta e lo chiamai.
Non rispose nessuno, e non volevo pensare che fosse stato ucciso.
Avevo troppa paura di entrare, tornai così in macchina e mi chiusi dentro. Guardavo la casa, macchiata di sangue a causa di un sadico serial killer, entrato in una profonda notte a giocare con le vite di persone innocenti.
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