L' Orrore di Witchery Street


Autore Messaggio
fulciano supremo
Larva
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MessaggioInviato: Dom, 05 Giu 2011 15:25    Oggetto: L' Orrore di Witchery Street   

Eccovi una mia creazione lovecraftiana un pò splatter.

L'Orrore di Witchery Street

In quella notte buia e gravida di morte, in cui si affollavano le ombre inquiete di miserabili sconosciuti, Jack Lagrasse era morto.
Il suo era un ambientino accogliente, frutto di anni di ricerche clandestine e affari loschi: Jack un gangster, legato a doppio filo con la malavita di alto livello di Boston ed il procuratore distrettuale.
Crimini e politica:un connubio indivisibile.
E quel lussuoso appartamento in Witchery street parlava chiaro: Lagrasse era stato un pezzo grosso.
Gli agenti trovarono una serie di oggetti di grande valore, alcuni dei quali erano anche piuttosto bizzarri.
“Qualcuno gli ha tappato la bocca...!”iniziò con il sorriso sulle labbra l'ispettore Filmore.
“Letteralmente,direi!” esclamò uno degli agenti in borghese, indicando la mandibola sporgente del cadavere. E la lingua, mezza strappata, che penzolava al di fuori dalla bocca.
“Sembra un lavoro preciso e molto silenzioso. Liquidi corporali?”
“Pare proprio di no, a parte il sangue. E'stata una morte lenta, suppongo!” replicò il coroner, fissando l'ispettore dritto negli occhi, come per dire: Coraggio, facciamo a chi le indovina di più. A chi la spara più grossa.
Fra gli oggetti preziosi, i tre agenti trovarono un quadro davvero inquietante: raffigurava una creatura mostruosa, dal volto quasi canino, che con affilati artigli squarciava il cranio di un malcapitato.
La pelle rosea e irrorata di sangue del mostro risaltava sulla totale oscurità dello sfondo.
E in basso a destra c'era una firma scritta a lapis: Richard Upton Pickman.
Vedendo tutto ciò, uno degli agenti si precipitò in bagno, subito prima che gli uomini presenti sul luogo del delitto potessero udire un inconfondibile suono gutturale.
“Il vecchio Pete ha dato di stomaco!”
“Lascia perdere,amico! Vado a vedere...!” replicò l'altro agente, avviandosi verso il bagno.
“Pete, che ti succede? Non è la prima volta che vedi un morto, no?”
“No, non è questo, Burke...!”
“Allora, cosa c'è …!”
“Quel quadro...Quel quadro! E quella firma...”
“Dove vuoi arrivare?” chiese Burke, molto perplesso.
“Conosci un certo Lovecraft? Era uno scrittore horror, che parlava di cose sconosciute, di inquietant...”
“Ehi, frena, amico. Non lo conosco, il tuo scrittore, ma lascia...”
“No, adesso sta a sentire. Uno dei suoi racconti, Il modello di Pickman, parla di un pittore che dipingi mostri e osceni paesaggi dal vero. E hai visto la firma, no? E' lui...”
“Và al diavolo. Io credo solo a ciò che posso vedere, non certo a queste coglionate dell'orrore da due soldi...!”
“Il nostro uomo è il personaggio di un racconto fantastico...sì, come no...Pete, da questo momento sei sospeso..fatti un riposino!” esclamò l'ispettore Filmore, con un sorriso a trentadue denti.

Pete se ne tornò verso casa con un autobus, afflitto dal suo fallimentare tentativo di far credere ai suoi cari colleghi che il solo modo di avanzare nelle indaginI potesse esser incentivato dal credere ai mostri sotto il letto.
L'autobus ritardò di un'abbondante quarto d'ora, ma Pete non ci fece molto caso, finchè il veicolo non si allontanò dalla fermata.
Fu allora che Pete vide gli altri passeggeri.
Sembravano tutti uguali: stavano a malapena in piedi, strizzavano i loro occhi da pesce per vedere meglio l'ambiente che li circondava.
Erano tutti calvi, stretti in cappotti neri di velluto stantio; le loro facce inespressive risaltavano sull'insieme.
Oltre agli occhi inusualmente rotondi, quei bizzarri uomini avevano bocche enormi, sproporzionate rispetto al resto del viso.
La pelle era tirata al di fuori come se avessero le branchie.
Pete rimase assai inorridito da quegli strani esseri che camminavano barcollando verso un posto a sedere.
Un attimo dopo, a Pete sembrò di vedere il conducente issarsi dal posto di guida, e vide con orrore che dalla sua impeccabile divisa sporgeva una faccia mostruosa, racchiusa in una piccola testa di ratto che si dimenava e bofonchiava discorsi senza senso.

L'incubo non finì dentro quell'autobus, poiché non appena varcò la soglia di casa, Pete fu accolto da una figura incappucciata, della quale si sentiva chiaramente un orribile odore di marcio, dettato forse da innominabili deformità.
L'essere senza volto disse: “Se vuoi evitare la morte, dovrai offrirci qualcosa in cambio. E quello sarebbe un inizio, a dir il vero!”
Pete replicò, riuscendo solo a far irretire lo sconosciuto, che lo atterrò prontamente con un maglio sul viso, che gli portò quasi via l'occhio sinistro. Quello non era un uomo, riflettè Pete, ritornando col pensiero agli uomini mostruosi nell'autobus.

Quella notte, e nel corso di moltissime notti successive, Pete Durant si aggirò per le strade di Boston, ripetendo di aver sacrificato sua figlia Dorothy ad una divinità chiamata Shub-Niggurath, uccidendola con un pugnale cerimoniale nei pressi del bosco adiacente al Crouch Lane Cemetery.

Ovviamente, nessuno potè più negare che nella periferia di Boston si stesse vericando qualcosa di strano, quando il giovane Herbert Gloom fu trovato morto nella sua villa, con la lingua strappata e inequivocabili segni di lotta, assai bizzarri: due falangi assai lunghe, e coperte di pus furono trovate sul pavimento. Nessun quadro strano, però, in quell'occasione.

In quei giorni nessun notiziario si occupò della misteriosa sparizione di Dorothy Durant, l'adorabile figlia dell'agente ormai declassato.
Un contadino del paese vicino alla città rese però noto alla polizia l'avvistamento di una donna nei pressi del luogo in cui Pete diceva di aver massacrato sua figlia in nome di Shub-Niggurath.
L'ispettore Filmore indagò sul fatto e ben presto potè interrogare la signorina spiata dal contadino.
Inutile dire, non ci tirò fuori un bel niente.
La donna dichiarò di essersi recata in quel luogo dimenticato per accompagnare il suo fidanzato a casa.

Quell'ipotetica pista non portò a nulla, anzi: la morte improvvisa di Pete Durant sconvolse di molto i piani della polizia.
Lo trovarono nell'ufficio di casa, con la faccia sfondata e le corde vocali a decorare il pavimento, ad annegare tra schizzi di sangue che avevano irrimediabilmente rovinato il parquet.

“Non ci capisco niente!” sbottò l'ispettore, rileggendo distrattamente la lettera firmata da Pete, che diceva:

Cara Dorothy, figlia mia, perdonami se ho tentato di farti del male, per impediti di uccidere.Tu mi hai sempre dato dei problemi, sei sempre stata insofferente nei confronti del potere. Il potere e la corruzione, lo dicevi sempre, perchè lo sapevi meglio di chiunque altro, tu.
Sei nata così, corrotta nell'anima e nella carne, vittima di una maledizione che invade la periferia di questa città, da generazioni.
Come Arkham, come Innsmouth, l'orrenda Dunwich...
Oh tesoro mio abbi pietà di me Dorothy

L'amico collega di Pete, Howard Burke, decise di andare verso Casa Durant, la seconda casa nel bosco di Crouch Lane. La casa del mistero.

Le scale che portavano alla casa dov'era stata vista la donna misteriosa erano ripide e ricoperte di funghi. Tutt'intorno, un tanfo pestilenziale che ammorbava l'aria e bloccava il respiro.
Non appena varcò la porta che l'avrebbe condotto verso l'ingresso, una mano disgustosamente viscida e palmata gli tappò la bocca, mentre altre decine di arti deformi lo trascinavano via dalla porta, per farlo entrare.
Era stata una donna ad aggredirlo: una donna figlia dell'oscena maledizione, con il cranio rasato, gli occhi rotondi da pesce e la bocca sproporzionata.
Man mano che lo trascinava dove voleva, Burke vide altri esseri: alcuni rannicchiati a fissare oscuri idoli di pietra, altri intenti in oscure preghiere dal signifivato indecifrabile, altri trascinavano sacchi neri verso l'esterno...
Finalmente, Dorothy lo accolse in tutto il suo pallido splendore.
Era morta, ma non era più umana. Lunghissimi tentacoli le avevano sostituito i miseri arti di bambina e l'avevano trasformata in una donna bellissima e mostruosa allo stesso tempo.
I denti erano fauci immonde che si allungavano e si ritraevano per lasciare spazio alla parola e ad un ignoto salmodiare: “Ià!Ià! Shub-Niggurath,il Capro Nero delle Foreste!”
“Lasciaci in pace o morirai!” esclamò la donna mostro che gli teneva la bocca tappata, impedendogli di sfogarsi in un grido cieco di orrore.

La visione che seguì portò il giovane agente Burke ad un destino atroce: dal caminetto dell'abitazione iniziò a colare un liquido denso e invisibile, che solidificandosi dette vita ad un ammasso pulsante di bocche orribili, che scaturivano da decine e decine di tentacoli giganteschi che si aggrovigliavano gli uni sugli altri, sibilanti e minacciosi...Quella cosa era invisibile e si vedeva..

Dorothy ripetè, lasciando che gli altri adepti si inginocchiassero: “Ià!Ià! Shub-Niggurath, il Capro Nero dai Mille Cuccioli!”
Burke cercò di divincolarsi dalla presa della donna mostro, ma lei lo bloccò prontamente, forzandogli le dita appuntite nella bocca.
Così, la donna gli squarciò la lingua con una mano, e con l'altra gli sollevò il labbro superiore fino a sfilargli completamente la pelle dalla faccia. Il sangue colò come da un innaffiatoio dalla testa scuoiata di Burke, che aveva smesso per sempre di gridare. L'orrore supremo gli era costato la vita.

Nonostante gli sforzi di pochi sfortunati uomini, la follia e la morte sarebbero regnate per sempre negli angoli dimenticati di ogni città.

The End
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