Legami di sangue


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Darklight
Cthulhu
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Località: Out of the Wall...
MessaggioInviato: Ven, 08 Feb 2008 16:48    Oggetto: Legami di sangue   

Il taxi si fermò bruscamente con un leggero stridio di freni, che riuscì a distogliere i pensieri cupi che mi aleggiavano in testa come fantasmi.
Scrutai al di fuori dell’auto e riconobbi subito il quartiere buio e periferico nel quale Erik viveva ormai da innumerevoli anni. Strade oscure e scarsamente illuminate, permeate di umidità e gelo invernale...quasi come il suo cuore, pensai amaramente. Quanto tempo era passato... Mi sentivo restio a scendere, a rivedere il suo volto, a far riaffiorare i demoni del passato.
-Signore, siamo arrivati, se non se ne è accorto...-
La voce burbera e sarcastica del tassista mi fece quasi sussultare, così decisi di mettere da parte i miei turbamenti e uscire dal labirinto della mia mente.
Voltai lo sguardo verso l’abitacolo della macchina, dove il tassista, un uomo grasso dal volto butterato e sgradevole, stava osservandomi con aria interrogativa mentre tamburellava eloquentemente le dita sul tassametro.
Dodici dollari e novanta Cents, brillavano i numeri digitali sul display. Sogghignai, pensando ai pochi isolati che avevamo percorso, ma non misi in discussione le tariffe dilatate di quell’uomo. Come si diceva, dare a Cesare ciò che è di Cesare, no?
Scesi dal taxi, improvvisamente stomacato dall’aria stantia di quell’abitacolo angusto, e dopo aver pagato la tariffa all’uomo passandogli i soldi dal finestrino, mi voltai verso il quartiere avvolto nella nebbia notturna.
Il taxi partì con un rauco suono di marcia male inserita, ma io quasi non me ne accorsi: i miei occhi già osservavano rapiti la via suburbana che si stendeva davanti a me, verso Ovest. Come l’oscuro sentiero per l’oblio, quella strada conduceva al mio deviato fratello Erik, la persona che più mi addolorava di aver abbandonato, ma anche quella che più mi terrorizzava al mondo.
Iniziai a incamminarmi, fin troppo consapevole di quanto i miei passi fossero boati sordi nel muto silenzio di quella notte fredda.
Mentre avanzavo per la strada un profondissimo senso di disagio si insinuò in me, provocato sicuramente da quel luogo: le case che mi circondavano erano per lo più abbandonate, con pesanti travi inchiodate a porte e finestre, e pezzi di calcinacci che pendevano dalle pareti come lembi di pelle; i giardini di queste dimore erano incolti, lasciati in balia delle erbacce e del gelo; la strada stessa, seppur illuminata, era disturbante, circondata com’era da lampioni di luce gialla e malsana, che veniva riflessa dall’asfalto lucido per la condensa notturna.
Il silenzio era totale, spezzato in qualche rara occasione dal lontano cigolio di un’imposta male assestata, o in altri casi dal rauco verso di qualche uccello appollaiato su una grondaia arrugginita.
-Benvenuti nel paradiso delle vacanze decadenti, signori...- Dissi cinico tra me e me, più per il bisogno di sentire la mia voce prevalere su quel silenzio quasi innaturale; ma la cosa non ebbe l’effetto sperato, anzi mi fece sentire ancora più solo in quel sobborgo fantasma.
Avrei voluto andarmene, afferrare la prima cabina telefonica che avessi incontrato a bordo strada e chiamare un taxi, a costo di rivedere la brutta faccia sogghignante del tassista che mi aveva portato lì...avrei voluto andarmene subito, anche di corsa... Ma non potevo farlo.
No, perché la lettera che mi era giunta, il giorno prima, mi imponeva di rimanere.

Ricordai di aver aperto la cassetta delle lettere e di aver subito avvertito un brivido corrermi lungo la schiena come un serpente che risaliva la mia spina dorsale: una lettera, imbustata con una carta giallastra, recante un piccolo sigillo di cera rossa.
Ero rientrato in casa, tremante, con la busta stretta in pugno, fissandola come un animale pericoloso. Per più di due ore ero rimasto immobile a fissarla, combattuto sul da farsi: aprirla e leggerla, o buttarla subito nel cassonetto dei rifiuti? Alla fine, l’amore fraterno aveva prevalso, e quando l’ebbi aperta fu solo il vero amore fraterno ad impedirmi di cacciare un urlo e gettarla tra le fiamme del mio caminetto...
Era scritta con una calligrafia sbilenca e irregolare: la calligrafia di un folle, mi era parsa. Ma ciò che più mi aveva sconvolto, oltre che il contenuto del messaggio, era stato l’inchiostro.
Denso inchiostro rosso rubino, a malapena seccato sulla carta, che in certi punti, dove la penna d’oca aveva calcato di più, si andava già coagulando...
Nessun inchiostro esistente al mondo si sarebbe “coagulato”, ricordo di aver pensato, raggelandomi...
Quando ebbi toccato l’inchiostro ancora fresco in alcuni punti dello scritto, mi resi conto, con una punta di nausea, che si trattava di sangue... Sangue che recava scritto questo messaggio:

Mio caro fratello, sangue del mio sangue... Ti scrivo ora, nel momento più buio e disperato di tutta la mia vita.
Ho bisogno di te, ora più che mai. Devo confdarti che per molto tempo ti ho odiato. Tu mi hai abbandonato, mi hai lasciato solo ad affrontare la sorte crudele che è stata risparmiata a te, ma non a me. Avevi paura di me. Ora lo so, all'epoca non riuscivo ad accettarlo, e comprendo solo ora il motivco del tuo abbandono. Per questo ti perdono, fratello mio. Ti perdono...
Ma bando ai rimorsi dei passato, io ho un disperato bisogno di te...Mi sto smarrendo! Sto passando la mia ora più buia, e temo di non farcela a superarla... Temo di perdere quel briciolo di umanità che mi resta, e questo non deve accadere! Ti prego, vieni a casa mia e aiutami a superare questo momento di tenebra interiore... Salvami dalla dannazione, fratello! Salvami!

Confido nel tuo amore fraterno e nel tuo buon senso, e ti aspetto... Non ti sei scordato dove abito, vero?... No, certo che no...Sei il mio fratellino, non faresti mai una cosa del genere a me... Non a me.

Tuo, con affetto e disperazione, Erik.

Ps. Credo sia scontato ricordarti di venire dopo l’imbrunire, quando sarà più comodo per me avere una bella conversazione riconciliatrice.


E ora eccomi qui, a percorrere strade lugubri e malfamate per raggiungere l’unico fratello che ho, apparentemente divorato dalla follia che, secondo il mio modesto parere, era solo questione di tempo prima che si impadronisse di lui in ogni caso.
Dopo un lasso di tempo che mi parve indefinito, tanto ero assorto a rivangare i ricordi di ciò che era successo, mi fermai infine davanti alla dimora di Erik.
Dio, quanto tempo... e quante sofferenze...
Osservai il numero civico, scritto a grandi numeri arzigogolati incrostati dalla sporcizia: 1963. Era proprio il recapito di mio fratello.
Alzando lo sguardo sulla casa, credetti che non sarei mai riuscito a trovare la forza per entrare in quel luogo.
Al di là del cancello rugginoso svettava una grande casa di stile coloniale, tipico di quelle zone del Sud: un ampio porticato retto da quattro sottili colonne, avvolte da rampicanti attorcigliatisi attorno come serpenti stritolatori, dava il benvenuto agli ospiti. Le pareti di travi bianche erano scrostate e avvolte da chiazze umide di muffa e muschio, mentre le finestre erano talmente luride da apparire sfumate e verdastre. Infine, sul grande tetto spiovente, erano visibili i rami spezzati degli alberi circostanti, mentre dal bordo scendevano erbacce cresciute selvaggiamente all’interno della grondaia.
Facendomi forza e traendo un profondo respiro, aprii il cancello. Questo si spalancò silenziosamente, nonostante apparisse vecchio decrepito, e la cosa mi colse piacevolmente di sorpresa: l’ultimo suono che avrei voluto provocare in quel luogo sarebbe stato uno spettrale cigolio.
Attraversato il giardino incolto raggiunsi la porta d’ingresso, anch’essa sudicia e dalla vernice bianca che si andava via via riempiendo di bolle e chiazze sverniciate. Bussai, più e più volte, senza ottenere risposta. Alla fine decisi di entrare, temendo per quello che avrei trovato all’interno.
La casa all’interno rispecchiava perfettamente la sua immagine esterna: i mobili erano coperti da quasi un centimetro di polvere, e un’atmosfera di pesantezza claustrofobia permeava l’ampio salone. L’oscurità aleggiava ovunque con un alone che virava sul bluastro, e gli squittii dei topi erano l’unico rumore udibile.
Poi, dal nulla, un gemito.
Voltai lo sguardo in direzione del lamento, mentre il panico si faceva strada tra le mie viscere e saliva lento e inesorabile il cervello, pronto a prenderne il controllo.
Avanzai verso una porta semi chiusa, dalla quale filtrava una lama di flebile luce vacillante che prima non avevo nemmeno intravisto.
-Erik?- Chiamai, la voce incrinata dalla paura.
In risposta, udii una bassa risata cantilenante provenire dalla stanza. Il panico trovò la strada per arrivare al cervello e assumere il controllo delle mie azioni. Senza più riuscire a ragionare, mi voltai di scatto verso la porta d’ingresso, intenzionato più che mai a fuggire da quella dimora da incubo.
Poi quello che successe segnò il mio destino.
Voltandomi bruscamente per fuggire, mi trovai dinnanzi alla figura di mio fratello Erik, apparso chissà come alle mie spalle senza un rumore. Quasi ci sbattei contro, tanto che caddi all’indietro sul duro pavimento coperto di sporcizia.
Levando lo sguardo impaurito, mentre la fronte mi si ricopriva di sudore freddo, mi trovai faccia a faccia con Erik, il mio defunto fratello. Il fratello che, quasi trent’anni fa avevo perduto, morso da una creatura dannata che ci aveva aggrediti entrambi, ma che aveva scelto Erik per trasmettere la sua infezione maledetta.
Lo sguardo iniettato di sangue di Erik ora mi bucava da parte a parte. Lo osservai bene: il viso era di un pallore cinereo, la pelle appariva tirata sulle ossa del cranio come se al di sotto di essa ogni muscolo fosse stato prosciugato. Raccapricciato vidi che sull’avambraccio destro si era inferto una serie di profondi tagli nella carne, più di una dozzina, molti dei quali si andavano rimarginando. Anche quelli più recenti però avevano un ché di innaturale, poiché il sangue fuoriusciva con rivoli scuri e densi, quasi di colore nero.
Sangue morto...pensai agghiacciato.
-Ciao, fratello!- Esplose Erik con una voce che talmente distorta da sembrare posseduto.
-Sei venuto allora? Pensavo non l’avresti fatto...Bravo, mi stupisci in meglio! Ora farò in modo che la tua presenza qui diventi molto più che una visita occasionale!-
Spalancando la bocca, Erik sibilò e ringhiò come un demone, mentre i canini di vampiro si allungavano con un impercettibile scricchiolio osseo che chissà come giunse alle mie orecchie e mi diede i conati di nausea allo stomaco.
-L’hai letta la mia lettera, dunque?- chiese Erik, digrignando le fauci. Incapace di rispondere, annuii spaventato.
-Bene...sappi che l’unico modo per aiutarmi ora è accompagnarmi di persona in questa follia di tenebra e morte che è stata assegnata a me, ma che chissà come ti è stata risparmiata... fino ad ora!-
Con uno scatto rapido e mostruoso Erik si chinò su di me affondando i canini nel mio collo, e io subito fui invaso da un esplosione di dolore lancinante unita alla sensazione sempre più forte che qualcosa si stesse insinuando in me, attraverso quei denti aguzzi nella mia carne viva.
Improvvisamente avvertii tutte le sensazioni e le emozioni di Erik riversarsi dentro di me come acqua bollente: strazio, follia, commiserazione, senso di colpa, invidia nei miei confronti... voglia di farla finita il prima possibile...
Tutte queste laceranti sensazioni mi entrarono nella mente, nel corpo e nell’animo come un’ustionante eruzione, e dopo pochi istanti, che mi apparvero eterni, la cosa divenne talmente forte ed insostenibile che fui invaso da un perverso piacere masochistico, un desiderio corrotto di averne ancora, sempre di più, ancora più sofferenza... ancora più bruciante dannazione...
Volevo perdermi nelle tenebre di quel mondo vampiresco, volevo sentirmi superiore e inumano. Volevo provare l’ebbrezza dell’essere una creatura maledetta e sfuggente.
Qui le cose si fecero confuse ed indescrivibili. Posso polo dire che questa estasi di dolore e piacere perverso arrivò ad un culmine talmente insostenibile che credetti di morire, e riuscii a provare eccitazione anche per questa prospettiva.
Poi tutto si sfocò, e il mondo intorno a me perse consistenza, liquefacendosi.
Svenni, e fu come morire davvero.

Quando mi svegliai mi trovai legato ad una sedia, nella stessa stanza dalla quale avevo intravisto il filo di luce fuoriuscire dalla porta. Sulle mensole e sul grosso tavolo antico Erik aveva piazzato molte candele di cera che brillavano come stalattiti candide e contorte, a causa della grumi di cera colata sulle loro superfici.
La grande finestra della stanza aveva imposte e vetri rotti, ma Erik aveva provveduto coprendola con un grande arazzo scarlatto sbiadito dal tempo e dall’usura.
Ancora spaesato e scosso, ci misi alcuni secondi per ricordarmi cosa mi era stato inferto da Erik, poco fa nel salone della casa. Quando il ricordo mi riaffiorò alla mente mi sentii sprofondare il cuore in un baratro di disperazione indicibile. Mio fratello, sangue del mio sangue, mi aveva trascinato in quella sua orgia di follia per puro spasso. Per il capriccio di un folle io ora ero condannato come lui.
Ogni muscolo del mio corpo era indolenzito, e provai una sensazione stranissima, mai provata: mi sembrò come se ogni arto del mio corpo fosse stato fino a pochi minuti prima completamente atrofizzato.
-Ben svegliato, fratello. O meglio ancora, ben rinato fratello...-
Erik sedeva su una profonda poltrona dallo schienale spiovente, avvolto dall’oscurità della zona più buia della stanza. Ne vedevo solo la sagoma scura, ma capii cosa stava facendo: si stava incidendo altri squarci sull’avambraccio con una tozza lama ricavata da chissà quale oggetto di metallo. Udivo l’orribile rumore acquoso della carne che si lacerava. Mi pareva di essere nel peggiore degli incubi.
-Come hai potuto farlo?- Chiesi adirato ad Erik, che sembrò non interrompere il suo folle gesto masochista.
-Come ho potuto farlo, mi chiedi? Vedi... Quando sei un vampiro, le cose tendono a perdere l’importanza dovuta... O meglio, sei tu stesso che gli attribuisci un’importanza relativa rispetto a quanta ne davi da mortale...-
-L’ho fatto solo per un motivo... ti volevo al mio fianco, fratellino... Tu mi avevi abbandonato, mi avevi rinnegato... Sei rimasto a crogiolarti nella fortuna di non aver subito il mio stesso destino, mentre io, relegato nel regno squallido di questa casa, notte dopo notte marcivo sempre di più...-
La sua voce si fece tremolante e quasi patetica mentre continuava a parlare, e al tempo stesso ad incidersi il polso con fare noncurante.
-Ti corrode, fratello... Ora lo saprai anche tu, ma lascia che te lo spieghi lo stesso, cosicché saprai a cosa dovrai andare incontro fra qualche decennio... La dimora della tua anima rimane immutata, immune alla vecchiaia e alle malattie, ma è la tua anima, il tuo spirito che inizia a morire e rattrappirsi...-
-Quando sei mortale, accade esattamente il contrario, il tuo corpo invecchia... la corrosione delle carni eccetera, eccetera; ma la tua anima persiste, fino alla morte. Alcuni dicono che l’anima sopravviva anche dopo la morte, io non lo so. So solo che quando inizia ad accaderti il contrario, come a me... ti rendi conto cosa si prova a sentirsi un guscio, fratellino? Un involucro di carne non morta dal quale l’anima viene succhiata, volta per volta, come se venisse rimossa da una cannuccia gigante... bella come metafora, non trovi? Molto...molto... poetica, sì, sì...-
Prese a ridere, la stessa risata malata e perversa che avevo udito quando ero entrato nella casa; incapace di parlare, non potei fare altro che continuare ad ascoltare.
-Inizialmente pensai che nutrendomi delle mie vittime avrei compensato questa sensazione di svuotamento... Ma lo sai qual è il bello della faccenda? Che per ogni vittima che dissanguavo, ogni volta che mordevo il collo di qualcuno, altrettanto sentivo la mia anima fuoriuscire, fluire fuori dal mio corpo in maniera uguale e contraria al sangue che entrava in me...-
Lo vidi abbassare il capo, un patetico gesto di autocommiserazione, poi all’improvviso piantò la lama rudimentale sul bracciolo della poltrona e si alzò in piedi, venendo verso di me.
Una volta entrato nel cerchio di luce delle candele, mi si strinse il cuore nel vedere che gli occhi di Erik erano rossi e gonfi di lacrime e pianto. Nonostante quello che mi aveva fatto, mi scoprii capace di provare ancora affetto e compassione per lui, cosa che mi stupì non poco.
Afferrò la mia testa stringendomi al collo con l’avambraccio, mentre mi portava l’altro, martoriato di tagli, alla bocca.
-Bevi ora! Unisciti a me! Aiutami ad affrontare questa sorte nefasta! Insieme possiamo farcela fratello...-
Con orrore, mi accorsi che il sangue scuro che fluiva da quegli orribili tagli non mi disgustava, anzi provavo un malsano desiderio di assaggiare quel fluido vitale, sentire di nuovo quella sensazione vibrante pervadermi, per quanto terribile possa essere stata.
E così feci: Erik mi premette il braccio sul viso e io affondai i denti nella carne, lacerandola con foga, ahimè quasi con gusto.
I nostri due spiriti si unirono in maniera trascendentale, una sensazione che ora mi risulta difficile descrivere, se non dicendo che risultò ancora più intensa di quella provata con il morso di Erik sul mio collo.
Quando mi staccai dal suo braccio mi sentivo pervaso da un piacere quasi erotico per Erik, e la cosa mi fece venire voglia di rimettere immediatamente.
-la prima volta è sempre la migliore, non è vero?- Mi chiese lui con un ghigno che gli tese la pelle del volto come carta ruvida.
-Smettila!- Dissi io, -Sei diventato folle! Ti rendi conto di cosa mi hai fatto? La tua natura di vampiro ti ha portato alla follia! Non sei riuscito ad accettarla, mai, e questo l’ho sempre saputo... Ma perché mai trascinarmi con te in questo baratro?-
Erik si voltò verso l’arazzo con cui aveva coperto la finestra della stanza, e lo vidi sorridere leggermente, come se qualcosa che stesse aspettando fosse finalmente giunto.
Rivolgendosi di nuovo a me, disse, con voce più dolce, quasi fosse tornato in sé: -Ti ho fatto questo perché ora tocca a te... è il tuo turno, fratello mio...-
Lo guardai, incredulo. Non riuscivo a capire le sue azioni, ma capivo che aveva in serbo qualcosa per me... e per lui.
-Cosa intendi dire, Erik? Cosa vuoi farmi?-
Si fece serio. Incredibilmente serio, poi afferrò l’arazzo rosso con un pugno e disse: - Voglio mostrarti quanto è vuota la dimora dell’anima quando l’anima è perduta...-
Improvvisamente, con un lampo doloroso che mi trapassò la mente come un dardo, capii perché Erik mi aveva legato alla sedia. Per lasciarlo libero di fare ciò che in quell’ istante fece.
Erik scostò l’arazzo rosso e tutta la stanza venne inondata di tiepida luce albeggiante, color rosa e cremisi. Vidi il volto di Erik toccato da quella luce gentile farsi sereno mentre lui chiudeva gli occhi. Per un istante mi sembrò che il pallore di vampiro sparisse dal suo volto contratto e tornasse ad assumere tonalità calde e vive. L’Erik che avevo sempre conosciuto, il mio amato fratello mortale, si fece vedere per l’ultima volta sul volto dell’Erik maledetto e condannato.
Poi il suo viso, così come tutto il corpo, cominciò a sfasciarsi, a cadere in pezzi quasi fosse fatto di ceramica e non di carne. Mentre i vestiti iniziarono ad ardere e a spargere scintille in aria, il corpo di mio fratello iniziò a languire e disfarsi, e con orrore vidi che all’interno non vi era nulla, se non lingue di fuoco e fumi provocati dalla corrosione delle sue carni.
Urlai, urlai a squarciagola il nome di mio fratello, gridai e piansi a squarciagola fino a quando credetti che la testa mi si sarebbe aperta in due dal dolore. Non stava accadendo tutto questo... Ancora mi sembrava impossibile... Stavo perdendo la cognizione della realtà, tanto ero sconvolto.
Infine Erik cadde al suolo trascinando per terra l’arazzo, un mucchio di ceneri sfrigolanti che avevano racchiuso un essere senz’anima. Aveva ragione.
Mentre rimanevo immobile, sconvolto ed atterrito, e nella stanza la luce dell’alba aveva ormai riempito ogni angolo buio, capii che ora mi attendeva lo stesso destino: vivere in quel luogo di tenebra, mentre il mio corpo veniva invaso dal vuoto, dal nulla assoluto. La disperazione mi colse, la follia che aveva invaso Erik bussava ora alle porte della mia mente.
La notte successiva sarei diventato un vampiro, lo sapevo con certezza. Quella notte avrei iniziato a nutrirmi, e a morire dentro fino alla fine dei miei giorni.
Winter is coming...
Jesse Custer
Cthulhu
Messaggi: 3991
Località: Jesi (AN)
MessaggioInviato: Ven, 23 Mag 2008 17:05    Oggetto:   

Veramente molto bello e ben scritto. Complimenti come sempre, Dark Wink
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