alle prime armi...chennedite di "umida paura" ?


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«Larva»
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MessaggioInviato: Ven, 11 Apr 2008 19:25    Oggetto: alle prime armi...chennedite di "umida paura" ?   

UMIDA PAURA



FIIUUuuuUUUuu…ffhhhiiiusssch…

Il vento soffiava tra i rifiuti mentre il cielo andava via via oscurandosi, i gabbiani volteggiavano con parvenze da avvoltoi in un cerchio che non presagiva niente di buono, emettendo stridii simili a pianti di bambini agonizzanti.

Sulla spiaggia, fuori dai cancelli del porto, dei cani si azzuffano nervosamente, facendo brandelli di quei sacchi pieni di immondizia lasciati là da turisti troppo distratti mentre davanti a loro, i resti della contesa rotolavano sbrindellati.

Trasportati dalla brezza solo stracci di plastica tenuti assieme per inerzia, l'unico indizio a ricordare cosa erano prima della lite tra i feroci cani rimaneva la scritta colorata "SPAR".

Urla di uomini allontanarono quegli animali:

"Imbecille! Attento con quel container, spostalo più a destra"

L'operaio seduto in cima alla gru lo posizionò bofonchiando parole incomprensibili, poi con un ghigno sul volto lo fece ondeggiare sulla testa del militare che lo aveva appena rimproverato

"Attento sergente"

Intimò col terrore in gola un altro militare.

Intanto l'enorme container ondeggiava dai ganci della Gru creando ombre sinistre che apparivano e scomparivano sopra le teste dei militari.

"Levatevi da sotto"

Urlò con quanto fiato aveva in gola l'uomo che pilotava la gru

"Ho perso il controllo del braccio di questo mostro…"

Ma non fece a tempo a finire la frase che la sua voce fu coperta da un sonoro CLANG di metallo spezzato.

Il militare rimase immobile attendendo l'inevitabile finale, ormai l'ombra sopra di lui che prima altalenava sarebbe precipitata fracassando tutte le sue ossa; una goccia di sudore gli scese lungo la tempia, il suo ultimo ricordò andò a pochi giorni prima, là nella stanza del capitano dove aveva firmato la sua morte.

Il sergente, a un passo da lui, tentò un disperato ultimo slancio, cercando la luce al di fuori dell'ombra: niente più licenze premio per meriti sul campo, per lui.

Un tonfo sordo alzò un gigantesco polverone, facendo aggrappare un sacchetto di plastica, al braccio sanguinolente che sporgeva da sotto il container.

Il silenzio fu interrotto dal suono di una tempesta che si stava avvicinando mentre lampi non troppo lontani illuminavano quelle istantanee per imprimerle nelle menti dei presenti.



Avvinghiando la recinzione di filo spinato, che delimitava il perimetro del territorio militarizzato, un uomo osservava l'accaduto, stringendo con continua veemenza? Quei cavi metallici sino a farsi sanguinare le mani.



Si scorgeva un triangolo contornato da strane scritte, contenente un occhio tatuato sul suo avambraccio destro, proprio là colò un rivolo di sangue. Il dolore gli fece chinare il capo.

Sotto una larga tunica nera, l'uomo pareva chiedersi il perché di tanta malvagità, sapeva che non era casuale la caduta di quel cassone, bensì inizialmente premeditata e non in tempo era giunto il pentimento.

Una pioggerellina cominciava a picchiettare su quel cranio nudo, addobbato da un semicerchio francescano scomposto. Natale, così si chiamava l'uomo, alzò lo sguardo al cielo. Uno sguardo pieno di domande che non avrebbero mai avuto risposte se non quelle dettate dalla sua necessità di riempirsi di certezze l'animo.

Poi riportò lo sguardo su quell'omicidio immotivato a parere suo, che tanto lo aveva sconvolto.

Pensava a cosa veramente era l'essenza dell'uomo, pensava, ed era ormai quasi certezza in lui, che più si addentrava nella ricerca, e più tutto si avvolgeva in profonde spirali oscure, sempre più lontano dalla luce.

Vedeva il menefreghismo unito al fuggi-fuggi del suo gregge, disgregatosi e votato al Dio per tutti ognuno per sè, proprio quelli che dicevano:"Quella fabbrica è sicurissima e inoltre porta posti di lavoro" e che ora correvano a gambe levate il più lontano possibile dall'esplosione della grande cisterna di Rogor.

Sentiva egli stesso l'impotenza di fronte agli accordi presi dalle superpotenze militari italiana e americana. Neppure lui voleva che quei sottomarini nucleari sostassero nelle acque del porto.

Un odore acre veniva dalla discarica di Spezia, radioattività a cielo aperto dalla discarica di Pitelli, ma a tutti stava bene così. Perché rischiare di perdere ciò che avevano guadagnato in tutta la vita? Come il cane che si accontenta del biscottino che il padrone gli dà. Certo c'erano delle minoranze che lottavano contro tutto questo ma neppure erano considerate o semmai a volte ascoltate, giusto per democrazia.



Un odore sempre più nauseabondo proveniva dal sangue fuoriuscito da quel corpo vivo, ma che sapeva di putrefazione. L'odore della paura che non era solo nell'aria, ma era dentro al corpo di natale, dentro ai corpi del suo gregge di bipedi zelanti, troppo impegnati a godere degli agi della tecnologia e del dilagante consumismo da non accorgersi minimamente del pianeta che li ha cresciuti, calpestando alla cieca ciò che trovano sul loro cammino.



Il rivolo di sangue che si era prima fermato sul tatuaggio ora stava stratificandosi accecando l'occhio al suo interno, Natale sentì un forte bruciore al braccio e vi pose lo sguardo. La crosta non ebbe tempo di solidificarsi che parve prendere vita propria, ora la pioggia stava aumentando rapidamente.

Natale si strofinò gli occhi pensando che fossero appannati dalla pioggia, sentì la fronte bollente, fissò il sangue colatogli lungo l'avambraccio e questo si scosse in un tremolio serpeggiante; era davvero un'illusione?

Il boato che preannunciava il tuono era ormai alle porte, con dirompente fragore un fulmine cadde a pochi metri dall'uomo spaccando a metà un pino marittimo e quasi simultaneamente uno spasmo di dolore lo costrinse ad inginocchiarsi. Quella cosa stava facendosi strada all'interno del suo corpo, bruciando muscoli e vene al suo passaggio, proprio come la saetta stava ora facendo coi resti di quel pino.

Il suo grido era coperto dalle sirene dell'autoambulanza che era ormai arrivata in porto e ora l'essere serpeggiava come uno spermatozoo impazzito quasi volesse uscire da quel corpo alla ricerca di un ovulo da fecondare.

"Maledetto!" esclamò Natale,

"Troppe volte ho rimandato l'affrontarti, ed ora stai prendendo il sopravvento"

Disse digrignando i denti tra contorte espressioni facciali.

L'essere da sotto la carne si divincolava energico, facendogli ora apparire come un bassorilievo le tre parole che cingevano i tre lati del triangolo:"In Vitae Veritas".

In un continuo agonizzante ebbe quello che riteneva una visione, un frammento di ricordi di vite di altri; vide un uomo che se ne andava; vide una donna e un serpente che le parlava.





Eva, così si chiamava la donna, passava le giornate annoiandosi, con l'unico uomo che conosceva, nel solo posto che conosceva, tra i soliti alberi e gli stessi animali di tutti i giorni.

Adamo, il solo compagno che aveva, per ammazzare la noia provava a fornicare con altri animali, piante e pesci oltre che con Eva.

Avevano quel giardino a loro disposizione, ma mai un po' di suspence, i giorni tutti uguali, mancava un pizzico di sale in quella verde monotonia; Dio, signore e padrone, creatore di tutto e di loro stessi, aveva organizzato nei minimi dettagli, che i propri figli non si facessero del male. O quasi. Potevano ogni cosa, là, tranne che mangiare le mele dell'albero della conoscenza.

Un serpente capitò in quel giardino, e vista la depressione che stava prendendo il sopravvento sui due, decise di fargli un grosso favore; per primo andò da Adamo, in prossimità dell'albero proibito, si fece notare strusciando nell'erba alta per arrivare su di un ramo dell'albero di mele, il tutto sotto lo sguardo incuriosito dell'uomo:

"Ciao uomo, voglio farti un regalo"

Disse sibilando la serpe

"Trovo che non stai bene in questa gabbia dorata"

"Si, ma che posso fare, le cose stanno così, e al fine ho tanto e un solo divieto che devo rispettare per poter vivere nel giardino dell'Eden"

"Non hai pensato che in quelle mele ci potrebbe essere la soluzione a questa tua eterna vita da zombie" ribadì il serpente.

L'uomo ebbe un'espressione incuriosita, poi la paranoia di essere osservato da qualche angelo, lo fece indietreggiare dallo spavento.

"No..no..potrei ve..venire pu..punito, e poi qui ho tutto" balbettò impaurito Adamo prima di correre via.

Eva che osservava la scena da dietro un cespuglio, ne uscì fuori incuriosita, e dirigendosi verso il serpente fu colta anch'essa da paranoie di essere spiata:

"Donna, tu sembri curiosa, vuol dire che hai forse voglia di cambiare questa situazione? vuoi scoprire, conoscere ed essere padrona di te stessa? Se cogli questa mela che tanto ti è vietata, potrai prendere coscienza di ciò che sei veramente, ma questa gabbia dorata potrebbe sgretolarsi, e potresti andare incontro a imprevedibili conseguenze.

Eva contemplò l'albero poi si osservò attorno, i ricordi sempre uguali le fecero allungare la mano verso la mela

"Attenta donna, potresti perdere tutto ciò che hai"

"Ciò che ho non ha valore chiusa in una gabbia, anche se è d'oro"

E così dicendo morse la mela succosa mentre il serpente stimava il suo coraggio. Adamo ancora correva. Ma gli angeli avevano visto tutto, e subito spifferarono l'accaduto al padrone, che nel giro di poco li cacciò dal giardino.

Sconfitta la paura finalmente liberi.





"AAAAHHHHRRRRGGGHHHH!!!!"

L'esplosione di un'arteria riportò Natale alla dolorosa realtà.

La pioggia mimetizzava le lacrime che scendevano tra singhiozzi, lungo le guance grassocce, il sangue fluiva continuo dai profondi tagli sulle mani. Il dolore si era fatto più intenso, la creatura stava cercando di forare il bulbo oculare tatuato sull'avambraccio. Natale ora stava contorcendosi dal dolore rotolandosi nella fanghiglia sottostante, l'essere divincolandosi aveva perforato dall'interno la pupilla tatuata che era esplosa come una pustola putrescente al massimo della sua maturazione ed ora stava uscendo, tra atroci sofferenze dell'uomo,ormai più morto che vivo.

Natale aveva i minuti contati, sentiva il cuore diminuire i suoi battiti e il sangue sgorgare come un fiume straripante e pensava agonizzante prima di esalare gli ultimi respiri, al porgi l' altra guancia a cui aveva creduto, erroneamente notò, per tutti i suoi giorni. L'ultima cosa che vide fu un occhio che si apriva nella penombra, ai piedi di una roccia poco distante e il cuore cessò di battere.



Mentre la creatura ormai fuori da quel cadavere serpeggiava nel fango allontanandosi, dietro un grosso masso, nell'umidità, la luce folgorante del lampo, illuminò un basilisco che stava svegliandosi, pensando divertito allo strano sogno che aveva appena fatto..



Gg 03/02/'08
Gg
«Larva»
Messaggi: 3
MessaggioInviato: Ven, 11 Apr 2008 20:04    Oggetto:   

non riesco a leggere i messaggi..forse uno e ti rispondo che pensavo fossero già scritti i racconti..
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